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      Viceversa, ciò che nel fenomeno non è sotto condizione di tempo, spazio e causalità, né si può a questi ricondurre, né con questi spiegare, sarà appunto l'elemento, nel quale si manifesta direttamente l'essenza del fenomeno, la cosa in sé. Per conseguenza la più perfetta conoscibilità, ossia la massima chiarezza, limpidità ed esauriente perscrutabilità debbono necessariamente toccare a ciò che è proprio della conoscenza in quanto tale, ossia alla forma della conoscenza: e non a ciò che, in sé non essendo rappresentazione, non oggetto, è diventato conoscibile (cioè è diventato rappresentazione, oggetto) soltanto col passare in tali forme. Adunque solo quel che dipende dal fatto come tale d'esser conosciuto, d'esser rappresentato (non da ciò che viene conosciuto ed è diventato rappresentazione); quel che quindi s'appartiene senza distinzione a quanto vien conosciuto; quel che per conseguenza può esser trovato sia muovendo dal soggetto sia dall'oggetto – quello solo può dar senza riserva una sufficiente e fino al fondo esauriente conoscenza. E non consiste in altro che nelle forme d'ogni fenomeno, delle quali siamo consci a priori, che si esprimono collettivamente nel principio di ragione: le varietà del quale, riferentisi alla conoscenza intuitiva (con la quale esclusivamente abbiamo qui da fare), sono tempo, spazio e causalità. Su questi ultimi soltanto poggia l'intera matematica pura e la pura scienza naturale a priori. Perciò la conoscenza non trova in queste discipline alcuna oscurità, non va a urtare contro l'imperscrutabile (l'infondato, ossia la volontà), contro ciò che non può esser più dedotto: e sotto questo rispetto anche Kant, come ho detto, voleva dare di preferenza, anzi esclusivamente a cotali discipline, oltre che alla logica, il nome di scienze.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254

   





Kant