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      Codesta è invece manifestazione del suo carattere intelligibile, il quale come la volontà stessa – la cosa in sé – è senza fondamento di ragione, stando appunto fuor del dominio del principio di ragione. Quindi ciascun uomo ha sempre finalità e motivi, in base ai quali dirige la propria condotta, e sa ognora render conto delle proprie azioni: ma, se gli si domandasse perché egli in genere voglia, o perché in genere egli abbia volontà di esistere, non avrebbe da dar risposta alcuna; piuttosto la domanda gli parrebbe stolta. Ed in ciò appunto verrebbe ad esprimersi la coscienza dell'essere egli medesimo niente altro se non volontà; volontà, che si comprende da se stessa, e soltanto nei suoi singoli atti, nei singoli momenti abbisogna di una più precisa determinazione.
      Infatti la mancanza d'ogni finalità e d'ogni confine s'appartiene all'essenza della volontà in sé, che è una tendenza infinita. Questo punto fu già toccato più sopra, quando s'accennò alla forza centrifuga: e nel modo più semplice si rivela nell'infimo grado dell'obiettità della volontà, ossia nella gravità; il cui perenne tendere, malgrado la palese impossibilità di una mèta ultima, è evidente. Foss'anche, per sua volontà, tutta la materia esistente riunita in un'unica massa compatta, la gravità seguiterebbe tuttavia nel suo interno a lottare pur sempre, tendendo verso il centro, contro l'impenetrabilità, palesantesi sia come rigidità, sia come elasticità. Questa tendenza della materia può essere quindi appena frenata, ma non mai appagata.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254