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      Spero inoltre che, in virtù di quanto ho detto, non si troverà ostacolo a riconoscere nei determinati gradi dell'oggettivazione di quella volontà, costituente l'in-sé del mondo, ciò che Platone chiamava le idee eterne, ossia le forme immutabili (????), le quali, riconosciute come il primo ma anche come il più oscuro e paradossale dogma della sua dottrina, sono state per una serie di secoli oggetto di meditazione, di contesa, di beffa e di venerazione da parte di tanti cervelli così vanamente intonati.
      Se adunque per noi la volontà è la cosa in sé, e l'idea è invece la diretta oggettità di quella volontà in un grado determinato, veniamo a trovare che la cosa in sé di Kant e l'idea di Platone, la quale per lui è l'unico ????? ?? – questi due grandi oscuri paradossi dei due maggiori filosofi dell'Occidente –, pur non essendo del tutto identici, sono nondimeno strettamente affini, e distinti per una sola determinazione. I due grandi paradossi sono addirittura – appunto pel fatto di suonar in modo tanto diverso, malgrado la loro intima concordanza e parentela, a causa della straordinaria differenza tra le individualità dei loro autori – il miglior commento reciproco l'uno dell'altro, rassomigliando a due strade affatto diverse, che pur conducono ad una mèta. Questo si può chiarire con poco. Kant dice, nella sostanza, quanto segue: «Tempo, spazio e causalità non sono determinazioni della cosa in sé; bensì appartengono solamente al suo fenomeno, non altro essendo se non forme della nostra conoscenza.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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