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      Se, sollevati dalla potenza dello spirito, abbandoniamo la maniera usuale di considerar le cose e cessiamo di ricercare secondo gli aspetti del principio di ragione le reciproche relazioni loro, di cui è ultimo termine sempre la relazione con la nostra volontà; se quindi non più si considera il dove, il quando, la causa e la finalità delle cose, ma unicamente ciò che elle sono; se non lasciamo che il pensare astratto, i concetti della ragione s'impadroniscano della conscienza, bensì viceversa tutta la forza dello spirito nostro diamo all'intuizione, in questa ci sprofondiamo, e la conscienza intera lasciamo riempire dalla tranquilla contemplazione dell'oggetto naturale che ci sta innanzi, sia esso un paesaggio, un albero, una roccia, un edifizio o quel che si voglia; allor che – secondo un'espressiva locuzione tedesca – ci si perde appieno in quell'oggetto, ossia si dimentica il proprio individuo, la propria volontà, e si rimane nient'altro che soggetto puro, chiaro specchio dell'oggetto, come se l'oggetto solo esistesse, senza che alcuno fosse là a percepirlo, né più è possibile separare colui che intuisce dall'intuizione stessa, poiché sono diventati tutt'uno, essendo l'intera conscienza riempita e presa da una sola immagine d'intuizione; se adunque in siffatto modo l'oggetto s'è disciolto da ogni relazione con altri oggetti fuor di se stesso, e il soggetto s'è disciolto da ogni relazione con la volontà – allora quel che viene così conosciuto non è più la singola cosa come tale, ma è l'idea, l'eterna forma, la diretta oggettità della volontà in quel grado.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368