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      Egli trae adunque dentro a sé la natura, sì da sentirla solo come un accidente dell'esser suo. In questo senso dice Byron:
      Are not the mountains, waves and skies, a partOf me and of my soul, as I of them?5
      Ma come potrebbe, chi sente così, se stesso credere del tutto mortale, in contrasto con l'immortale natura? Piuttosto lo afferrerà la coscienza di ciò che l'Upanishad del Veda esprime; «Hae omnes creaturae in totum ego sum, et praeter me aliud ens non est» (Oupnek'hat, I, 122)6.
      § 35.
      Per conseguire una più profonda penetrazione nell'essenza del mondo, è assolutamente necessario apprendere a distinguere la volontà quale cosa in sé dalla sua adeguata oggettità; e inoltre i diversi gradi, in cui questa più limpidamente e compiutamente appare – ossia le idee stesse – dal semplice fenomeno delle idee nelle forme del principio di ragione, del circoscritto modo di conoscenza degli individui. Allora si converrà con Platone, dove egli alle idee sole attribuisce un vero e proprio essere, riconoscendo invece agli oggetti nel tempo e nello spazio, a quel che per l'individuo è il mondo reale, una mera esistenza apparente, a mo' di sogno. Allora si comprenderà come l'unica e identica idea si manifesti in così numerosi fenomeni, ed ai conoscenti individui la sua essenza palesi solo in modo frammentario, un aspetto dopo l'altro. Anche si distinguerà allora l'idea in sé dal modo, onde il suo fenomeno si offre all'osservazione dell'individuo: quella riconoscendo essenziale, e questo invece non essenziale.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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