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      Ossia, nasce qui come sempre dal contrasto dell'insignificanza e dipendenza del nostro io, in quanto individuo, in quanto fenomeno di volontà, con la conscienza di quell'io in quanto puro soggetto del conoscere. Anche la volta del cielo stellato agisce – quando la si osservi senza riflessione – non altrimenti che quella volta di pietra; e non con la sua vera, ma sol con la sua apparente grandezza. Vari oggetti della nostra intuizione eccitano il sentimento del sublime, perché – a causa della loro vastità, o della loro antichità, ossia della loro durata temporale – noi ci sentiamo davanti ad essi impiccioliti fino a sparire, e tuttavia ci inebriamo nel goderne la vista. Di tal fatta sono le altissime montagne, le piramidi d'Egitto, le colossali rovine di remota antichità.
      Anzi, perfino al campo etico può applicarsi la nostra spiegazione del sublime; ossia a quel che si suol designare col nome di carattere sublime. Poiché questo egualmente si ha, quando la volontà non viene eccitata da oggetti, i quali pur sarebbero atti ad eccitarla; e invece la conoscenza mantiene anche allora il sopravvento. Un tal carattere considera quindi gli uomini in modo affatto obiettivo, e non già secondo le relazioni che possono avere secondo la sua volontà. Osserverà per esempio i loro difetti, e perfino il loro odio e la loro ingiustizia verso di lui medesimo, senza per ciò sentirsi spinto a odiarli; li vedrà felici, senza provarne invidia; riconoscerà le loro buone qualità, senza desiderarne per questo di avvicinarli più intimamente; apprezzerà la bellezza delle donne, senza desiderarle.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Egitto