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      Ora, davanti a codeste rappresentazioni il lato oggettivo del piacere estetico prende un aperto sopravvento sul soggettivo. La serenità del soggetto, che tali idee conoscendo ha placato la propria volontà, vi si ritrova, è vero, come in ogni contemplazione estetica, ma la sua azione non viene sentita: imperocché ci occupa la inquietudine e la violenza della rappresentata volontà. È quello stesso volere, ond'è pur costituita la nostra essenza, che ci sta davanti agli occhi: in figure, nelle quali la sua manifestazione non è come in noi dominata e mitigata dalla riflessione, ma si presenta bensì in forti tratti, con un'evidenza da rasentare il grottesco e il mostruoso; e in compenso ostentantesi liberamente in piena luce, ingenua e aperta – ragione per cui, appunto, il nostro interesse va agli animali. La nota caratteristica delle specie già veniva fuori nella rappresentazione delle piante, mostrandosi tuttavia solamente nelle forme: qui acquista molto maggior rilievo, e si esprime non solo nella forma, bensì nell'azione, posizione e movenza; sebbene sia ancor sempre carattere della specie, e non dell'individuo. Questa conoscenza delle idee di gradi più alti, che noi acquistiamo nella pittura mediante un intermediario, possiamo raggiungere anche in maniera diretta, con la intuizione puramente contemplativa delle piante e l'osservazione degli animali; questi nel loro stato libero, naturale, a loro agio. La considerazione obiettiva delle lor svariate, mirabili forme e della loro attività è un'istruttiva lezione del gran libro della natura, una decifrazione della vera signatura rerum15: in lei vediamo i molteplici gradi e modi della manifestazione della volontà, la quale, in tutti gli esseri una e identica, ovunque la stessa cosa vuole – vuole appunto ciò, che come vita, come esistenza viene ad oggettivarsi, in sì infinita varietà, in sì infinite forme; le quali tutte sono accomodamenti alle diverse condizioni esteriori, paragonabili a molte variazioni d'uno stesso tema.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368