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      L'assurda opinione che i greci abbiano trovato l'ideale della umana bellezza in modo affatto empirico, mediante scelta di singole parti belle, qui un ginocchio, là un braccio denudando o notando, ha del resto il suo riscontro in un'opinione analoga concernente la poesia: l'opinione che, p. es., gl'infinitamente vari caratteri de' suoi drammi, così veri, così sostenuti, così ricavati dal profondo, abbia Shakespeare notati nella propria personale esperienza della vita sociale, e poi riprodotti. L'impossibilità e assurdità di tale opinione non ha bisogno d'esser dimostrata: è evidente che il genio, come produce le opere dell'arte plastica sol per mezzo di una presaga anticipazione del bello, così produce le opere della poesia solo mediante una consimile anticipazione del caratteristico; per quanto l'una e l'altra richiedano l'esperienza come uno schema, indispensabile, perché quanto era loro noto oscuramente a priori venga innalzato alla piena chiarezza, e nasca così la possibilità di una meditata rappresentazione.
      Umana bellezza fu qui sopra spiegata come la più perfetta oggettivazione della volontà nel più alto grado della sua conoscibilità. Essa si esprime attraverso la forma: questa è soltanto nello spazio, e non ha relazione necessaria col tempo; come l'ha, per esempio, il moto. Possiamo dire adunque: l'adeguata oggettivazione della volontà per mezzo d'un fenomeno spaziale è bellezza, nel senso oggettivo. La pianta non è altro che un tal fenomeno, puramente spaziale, della volontà; imperocché nessun movimento e quindi nessuna relazione col tempo (astraendo dal suo sviluppo) appartiene all'espressione della sua essenza: la sua forma esprime da sola tutta la sua essenza, e aperta la palesa.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Shakespeare