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      Prima d'ogni indagine psicologica e fisiologica, se Laocoonte nella sua situazione debba o no gridare – ciò che d'altronde io affermerei senz'altro – riguardo a quel gruppo è da mettere in chiaro, che non poteva il gridare esservi espresso, per il semplice motivo che la rappresentazione del grido sta completamente fuor del dominio della scultura. Non si poteva dal marmo trarre un urlante Laocoonte, ma solo un che sgangheri la bocca e invano si sforzi d'urlare: un Laocoonte a cui la voce s'è arrestata nelle fauci, vox faucibus haesit. L'essenza, e quindi anche l'effetto del gridare sullo spettatore, è tutto nel suono, non nello spalancare la bocca. Quest'ultimo fenomeno, che di necessità accompagna il gridare, deve venir motivato e giustificato dal suono che per esso è prodotto: allora, come caratteristico per l'azione, è ammissibile, anzi necessario, quand'anche nuoccia alla bellezza. Ma nell'arte figurativa, a cui la rappresentazione del gridare è del tutto estranea e negata, effettivamente incomprensibile sarebbe il rappresentar la bocca spalancata, violento mezzo nel grido, che altera tutti i lineamenti e il resto dell'espressione; perché si porrebbe innanzi agli occhi un mezzo, che esige molti sacrifizi del rimanente, mentre il fine di esso, il grido, verrebbe a mancare insieme col relativo effetto sul nostro animo. Anzi – e questo è peggio – si produrrebbe con ciò lo spettacolo sempre ridicolo di uno sforzo che rimane senz'effetto: spettacolo da paragonarsi a quel che si procurò un burlone, riempiendo di cera il corno d'una guardia notturna addormentata, per poi risvegliarla e godersi i suoi vani tentativi di suonare.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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