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      Se già sul palcoscenico è un difetto (come nella tragedia francese) che l'azione principale si svolga dietro le quinte, evidentemente questo difetto è di gran lunga maggiore nel quadro. Effetto decisamente cattivo producono le scene storiche sol quando costringono il pittore in un terreno arbitrario, e scelto con fini estranei all'arte; ma soprattutto quando codesto terreno è povero di soggetti pittorici e significanti, – come sarebbe, per esempio, la storia d'un piccolo, segregato, caparbio popolastro, fatto segno al disprezzo di tutti i grandi popoli dell'oriente e dell'occidente suoi contemporanei, qual è quello dei giudei. Poi che tra noi e tutti i popoli antichi sta come un termine la migrazione barbarica – nel modo stesso in cui tra l'attuale superficie terrestre e quella, di cui ci si mostrano pietrificati gli organismi, sta l'avvenuto spostamento del letto marino – è da considerarsi gran male che non siano per avventura gl'indiani o, i greci, o anche i romani il popolo la cui passata civiltà serva di precipua base alla nostra, bensì proprio codesti giudei. E fu specialmente una cattiva stella pei geniali pittori d'Italia, nel XV e XVI secolo, il doversi appigliare – nella breve cerchia in cui erano arbitrariamente ridotti, per la scelta dei loro argomenti – a ogni maniera di miseri soggetti: perché il Nuovo Testamento è, nella parte storica, quasi ancor più sfavorevole alla pittura che l'Antico non sia; e soggetto infelicissimo è la susseguente storia dei martiri e dei Padri della Chiesa.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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