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      Ma non altrimenti agirebbe il motto: «Le temps découvre la vérité». Imperocché ciò che quivi propriamente agisce è sempre il solo pensiero astratto, e non la cosa intuita.
      Ora se, come abbiamo visto, l'allegoria nell'arte figurativa è una tendenza viziosa, asservita ad un fine, che all'arte è affatto estraneo, codesta tendenza diviene addirittura insopportabile, se è spinta a tal segno che la rappresentazione di sottigliezze forzate e introdotte arbitrariamente venga a cader nell'insulso. Di tal fatta è, per esempio, una testuggine, che voglia indicar la ritrosia femminile; la Nemesi, che si guardi in seno dentro al vestito, per significar ch'ella vede anche l'ascoso; la dichiarazione del Bellori, che Annibale Carracci abbia vestita di giallo la voluttà, per esprimere che le sue gioie tosto appassiscono e si fanno gialle come paglia. Se adunque tra la cosa rappresentata e il concetto, per suo mezzo significato, non è alcun legame che abbia per base la sussunzione sotto quel soggetto e l'associazione delle idee; ma segno e cosa significata stanno in connessione tutta convenzionale, mediante un ravvicinamento positivo e provocato a caso: allora io chiamo simbolo questa varietà dell'allegoria. Così la rosa è simbolo della discrezione, l'alloro simbolo della gloria, la palma simbolo della vittoria, la conchiglia simbolo del pellegrinaggio, la croce simbolo della religione cristiana: e qui vengono anche tutte le significazioni dirette attribuite ai semplici colori, per esempio, il giallo come colore della falsità, l'azzurro della fedeltà. Cotali simboli possono sovente giovar nella vita, ma all'arte il lor pregio è straniero: sono da considerare in tutto come geroglifici, o addirittura come caratteri cinesi, ed appartengono in realtà alla stessa categoria degli stemmi, della frasca posta a insegna di un'osteria, delle chiavi da cui si riconoscono i ciambellani, o del cuoio da cui si conoscono i minatori.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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