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      Quelle situazioni, per il loro costante ritorno, appunto come l'umanità rimangono perenni, e ognora producono i sentimenti medesimi: e perciò le liriche dei veri poeti durano per millenni giuste, efficaci e fresche. Il poeta, in sostanza, è l'uomo universale: tutto ciò che ha scosso un cuore umano, ciò che l'umana natura in qualsivoglia stato da se medesima esprime, tutto ciò che in un petto umano può trovarsi e covare, – è suo tema e sua materia; come, inoltre, tutta quanta la rimanente natura. Può così il poeta cantare la voluttà come il misticismo, essere Anacreonte o Angelus Silesius, scrivere tragedie o commedie, rappresentare animi alti o volgari, – secondo ha capriccio e vocazione. E a nessuno è lecito prescrivere al poeta d'esser nobile ed elevato, morale, pio, cristiano, essere questo o quello; e tanto meno rimproverarlo di non essere questo e quello. Egli è lo specchio dell'umanità, e la fa consapevole di ciò ch'ella sente ed opera.
      Consideriamo ora più da presso l'essenza della canzone vera e propria, togliendo a esempio qualche modello eccellente e puro insieme: non di quelli, che già in certo modo s'accostano a un altro tipo, come sarebbe alla romanza, all'elegia, all'inno, all'epigramma, e così via; troveremo così, che l'essenza caratteristica della canzone in senso preciso è la seguente. È il soggetto della volontà, ossia il proprio volere, che empie la conscienza di chi canta; spesso come sciolto, appagato volere (gioia), e più spesso come un volere contrastato (dolore); sempre, tuttavia, come affetto, passione, animo agitato.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Anacreonte Angelus Silesius