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      Da questo difetto nessuno s'è tenuto lontano come Rossini: perciò la musica di lui parla sì limpido e puro il linguaggio suo proprio, da non aver punto bisogno di parole, ed esercitare quindi tutto il suo effetto, anche se eseguita dai soli strumenti.
      In conseguenza di tutto ciò possiamo considerare il mondo fenomenico (o la natura) e la musica come due diverse espressioni della cosa stessa; la quale è adunque il termine di unione dell'analogia che passa fra loro, la cui conoscenza si richiede per vedere addentro quell'analogia. La musica quindi è – guardata come espressione del mondo – un linguaggio in altissimo grado universale, che addirittura sta all'universalità dei concetti press'a poco come i concetti stanno alle singole cose. Ma la sua universalità non è punto quell'universalità vuota dell'astrazione, bensì ha tutt'altro carattere, ed è congiunta con una perenne, limpida determinatezza. Somiglia in ciò alle figure geometriche ed ai numeri: che, quali forme universali di tutti i possibili oggetti dell'esperienza ed a tutti applicabili, non sono tuttavia astratti, ma intuitivi e sempre determinati. Tutte le possibili aspirazioni, eccitazioni e manifestazioni della volontà; tutti quei fatti interni dell'uomo, che la ragione getta nell'ampio concetto negativo di sentimento, sono da esprimere nelle infinite melodie possibili; ma ognora nell'universalità di semplice forma, senza la materia; ognora nell'in-sé, e non nel fenomeno: quasi la più profonda anima di questo, senza il corpo.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Rossini