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      Sotto il rispetto indicato, la parte del nostro esame che ora segue si potrebbe chiamare, secondo il comune modo d'esprimersi, filosofia pratica; in opposizione alla filosofia teoretica finora trattata. Ma ogni filosofia è a mio avviso teoretica sempre, essendo a lei essenziale, qualunque sia l'oggetto immediato della ricerca, il rimaner nel campo della considerazione pura e l'investigare, non già il dar precetti. Invece il diventar pratica, il guidar la condotta, il modificare il carattere, sono vecchie pretese cui ella, con più maturo giudizio, dovrebbe alfine rinunciare. Imperocché qui, dove si tratta del valore e del non valore d'un'esistenza, di salvazione o di condanna, non sono i suoi morti concetti a dare l'esito, bensì lo dà l'essenza più intima dell'uomo medesimo, il demone che lo guida e che non lo ha scelto, ma che da lui è stato scelto, come dice Platone – il suo carattere intelligibile, come Kant si esprime. La virtù non s'insegna, più che non s'insegni il genio: per lei è il concetto tanto infruttifero, e solo valevole come strumento, quanto è infruttifero per l'arte. Altrettanto stolti saremmo nell'attenderci, che i nostri sistemi morali e le nostre etiche suscitassero uomini virtuosi, nobili e santi, come nel chiedere alle nostre estetiche di suscitare poeti, scultori, musici.
      La filosofia non può in nessun caso fare altro, se non chiarire e spiegare ciò che è dato; recare alla limpida, astratta conoscenza della ragione, sotto ogni rispetto e da ogni punto di vista, quell'essenza del mondo che a ciascuno si esprime intelligibile in concreto, ossia come sentimento.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Platone Kant