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      Codesto isterico filosofare da il più spesso una cosmogonia, la quale consente molte varietà, ma può dare anche un sistema di emanatismo, una dottrina della caduta; oppure, se disperando dei vani tentativi per quelle stradesi riduce a prenderne un'altra, ultima, dà viceversa una teoria dell'eterno divenire, del nascere, del sorgere, del balzar alla luce dalle tenebre, dall'oscuro fondo, dal fondo dei fondi, dal fondo senza fondo, e quanti sono vaniloqui di tal sorta. Tutte cose le quali si tolgono di mezzo con l'osservare, che essendo un'eternità intera, ossia un tempo infinito, già trascorsa fino all'attimo presente, tutto quel che può e deve accadere deve anche essere già accaduto. Poiché codesta filosofia storica, per quante arie voglia darsi, prende, come se Kant non fosse mai esistito, il tempo per una determinazione della cosa in sé: e s'arresta quindi a ciò che Kant chiama fenomeno, in opposizione alla cosa in sé, e Platone chiama il divenire che mai non è, in opposizione all'essere che mai non diviene; s'arresta a ciò, insomma, che gl'Indiani chiamano il velo di Maja. E quest'è appunto la conoscenza vincolata al principio di ragione, con la quale mai non si giunge all'essenza intima delle cose, ma non si fa che perseguire all'infinito i fenomeni, muovendo intorno senza fine e senza meta, come fa lo scoiattolo nella gabbia a ruota; finché per avventura stanchi alla fine o sopra o sotto in un punto qualsiasi ci si ferma, e si pretende di far rispettare questo punto anche dagli altri.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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