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      Sopravvenendo il mondo della rappresentazione, sviluppato per il suo servigio, ella acquista conoscenza del proprio volere e di ciò ch'ella vuole, che altro non è se non il mondo, la vita, così come si presenta. Perciò il mondo fenomenico l'abbiam chiamato specchio della volontà, e sua oggettità: e ciò che la volontà sempre vuole è la vita, appunto perché questa non è altro che il manifestarsi di quel volere per la rappresentazione; perciò è tutt'uno, e semplice pleonasmo, quando invece di «volontà» senz'altro diciamo «volontà di vivere».
      Essendo la volontà la cosa in sé, l'interna sostanza, l'essenza del mondo, mentre la vita, il mondo visibile, il fenomeno è solamente lo specchio della volontà; ne viene che il fenomeno accompagna la volontà sì fedelmente, come l'ombra il corpo; e dov'è volontà, sarà pur vita, mondo. Alla volontà di vivere è adunque la vita assicurata; e fin quando pieni siamo della volontà di vivere, non dobbiamo trovarci in ansia per la nostra esistenza – neppure in vista della morte. Vediamo bensì l'individuo nascere e perire: ma l'individuo è soltanto fenomeno, non esiste se non per la conoscenza irretita nel principio di ragione, nel principio individuationis: in virtù di questo invero riceve la propria vita come un dono, vien fuori dal nulla, soffre poi per morte la perdita di quel dono, e al nulla fa ritorno. Ma noi vogliamo invece considerar la vita filosoficamente, ossia nelle sue idee; e troveremo allora che né la volontà, la cosa in sé di tutti i fenomeni, né il soggetto del conoscere, quegli che guarda tutti i fenomeni, da nascita e morte sono in alcun modo toccati.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368