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      A questa concezione innalza Krishna nella Bhagavat Gita il suo principiante discepolo Arjuna, allorché questi alla vista dell'esercito pronto per la battaglia (circa nella stessa guisa di Serse) colto da pensosa tristezza sbigottisce e vorrebbe desister dalla lotta, per iscongiurar la distruzione di tante migliaia di vite: a quella concezione lo innalza Krishna, e la morte delle migliaia non val più a trattenerlo: egli dà il segnale della battaglia. La stessa concezione esprime il Prometeo di Goethe, soprattutto quando dice:
      Qui io sto, uomini formoA immagine di me,
      Una razza, che eguale mi siaNel soffrire, nel piangere,
      Nel godere e rallegrarsi,
      E di te non curarsi,
      Come me!39.
      Ed alla stessa concezione ancora potrebbero la filosofia di Bruno e quella di Spinoza condurre chi non si sentisse disturbato o scosso nella persuasione dai loro errori e difetti. La filosofia di Bruno non contiene una vera etica, e quella ch'è nella filosofia di Spinoza non nasce punto dall'essenza della sua dottrina, bensì, pur essendo in sé apprezzabile e bella, v'è collegata sol con deboli e troppo visibili sofismi. Alla concezione suddetta finalmente perverrebbero forse molti uomini, se la loro conoscenza andasse di pari passo con il loro volere, ossia se liberi d'ogni falso miraggio, fossero in grado d'aver chiara e limpida conscienza di sé. Imperocché qui sta, per la conoscenza, la base dell'intera affermazione della volontà di vivere.
      La volontà afferma se stessa, s'è detto: mentre nella sua oggettità, ossia nel mondo e nella vita, la sua propria essenza viene a lei data compiutamente e limpidamente, codesta conoscenza non impedisce punto il suo volere; anzi appunto quella vita in siffatto modo conosciuta viene anche come tale dalla volontà voluta, con cognizione, in maniera consapevole e meditata, come prima era voluta senza cognizione, quale cieco impulso.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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