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      E solo a posteriori, per esperienza e per meditazione dell'esperienza, riconosce che la sua condotta risulta determinata con necessità dell'incontro del carattere coi motivi. Di là proviene, che i più rozzi uomini, seguendo i loro sentimenti, sostengano nel modo più vivo la piena libertà delle singole azioni, mentre i grandi pensatori di tutti i tempi, anzi perfino le dottrine religiose più profonde, l'abbiano negata. Tuttavia a quegli, cui s'è reso chiaro che l'intera essenza dell'uomo è volontà, e ch'egli medesimo non è che fenomeno di questa volontà, fenomeno avente il principio di ragione per forma necessaria, conoscibile già dal soggetto stesso, la quale in questo caso si presenta come legge della motivazione, a quegli un dubbio circa la possibilità di non compiere una certa azione, dato un certo carattere e un certo motivo, farà lo stesso effetto che un dubbio sull'eguaglianza fra i tre angoli d'un triangolo e due retti. La necessità di ciascuna singola azione ha con sufficienza illustrato Priestley nella sua Doctrine of philosophical necessity; ma il coesistere di questa necessità con la libertà del volere in sé, ossia fuori del fenomeno, l'ha per il primo dimostrato Kant41, il cui merito è in ciò particolarmente grande, facendo la distinzione tra carattere intelligibile ed empirico. Distinzione, che io in tutto e per tutto mantengo, essendo il primo la volontà come cosa in sé, in quanto si manifesta in un determinato individuo, e in un determinato grado; ed essendo l'altro questa manifestazione medesima, qual ella si presenta con la condotta, nel tempo, e già con la propria forma corporea, nello spazio.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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