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      Appunto perché il dolore morale, essendo di gran lunga il maggiore, ci rende insensibili al dolore fisico, diventa facilissimo il suicidio al disperato, o a chi è consumato da un morboso travaglio, anche se costui per l'innanzi, in condizioni tranquille, davanti al pensiero del suicidio s'arretrava sbigottito. Similmente la pena e la passione, ossia il travaglio del pensiero, consumano il corpo più spesso e più a fondo che le sofferenze fisiche. Perciò dice a ragione Epitteto: ???????? ???? ????????? ?? ?? ????????, ???? ?? ???? ??? ????????? ??????? (Perturbant homines non res ipsae, sed de rebus decreta) (V), e Seneca: «Plura sunt, quae nos terrent, quam quae premunt, et saepius opinione quam re laboramus» (Ep. 5). Anche Eulenspiegel satireggiava benissimo la natura umana, quando in salita rideva, in discesa piangeva. Perfino bimbi, che si son fatti del male, non piangono per il dolore, ma piangono quando li si compiange, per il pensiero, in tal maniera suscitato, del dolore. Così gran divarii nell'agire e nel soffrire provengono dalla varietà nel modo di conoscenza animale ed umano. Inoltre il presentarsi del limpido e deciso carattere individuale, che soprattutto distingue l'uomo dall'animale, avendo quest'ultimo quasi unicamente il carattere della specie, è in egual modo determinato dalla scelta tra più motivi, possibile solo mediante i concetti astratti. Che solo dopo precedente scelta sono le risoluzioni diverse nei diversi individui un segno del carattere individuale di questi, in ciascuno variato; mentre l'azione dell'animale dipende solo dalla presenza, o assenza, dell'impressione, premesso poi che questa sia per la sua specie un motivo.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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