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      In favor dell'ipotesi formulata, per cui, come nel conoscere, così anche nel sentimento del soffrire o del godere una grandissima parte è soggettiva e determinata a priori, possono ancora essere addotte come prove le osservazioni, secondo le quali l'umana gaiezza, o tristezza, palesemente non da circostanze esteriori è determinata, da ricchezza o condizione sociale; poiché noi incontriamo altrettante facce liete tra' poveri, quanto tra' ricchi: e inoltre, i motivi pe' quali accadono i suicidii sono così profondamente diversi; non potendo noi indicare nessuna sventura grande abbastanza da dover provocare con molta verosimiglianza in ciascun carattere il suicidio, e poche tanto piccole, che nessun'altra di egual peso non l'abbia già altra volta provocato. Se dunque il grado della nostra letizia o malinconia non è tuttodì il medesimo, ciò attribuiremo, in virtù di quest'opinione, non al mutar delle circostanze esterne, ma a quello dello stato interno, delle condizioni fisiche. Che quando si produce una vera, se pur sempre temporanea, elevazione della nostra gaiezza, sia pur fino alla gioia, questo suol essere senz'alcuna ragione esteriore. Sì, sovente vediamo il nostro dolore provenir solo da un determinato fatto esterno, e solo da questo siamo visibilmente oppressi e turbati: allora crediamo che, se esso venisse meno, ne seguirebbe la massima contentezza. Ma è un'illusione. La misura del nostro dolore e benessere è in complesso, secondo la nostra ipotesi, determinata soggettivamente per ogni istante, e in rapporto ad essa è ogni esterna cagione di turbamento appena ciò ch'è pel corpo un vescicante, verso il quale traggono tutti gli umori cattivi, che altrimenti restan dispersi pel corpo.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368