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      Il dolore nel nostro essere, prodotto da un dato motivo per questo spazio di tempo, e quindi non rimovibile, sarebbe senza quella determinata causa esteriore di sofferenza distribuito in cento punti, e comparirebbe in forma di cento piccole molestie e fastidi a proposito di cose, che invece allora trascuriamo del tutto, perché la nostra capacità di soffrire è già riempita da quella pena centrale, che tutta la sofferenza altrimenti dispersa ha concentrata in un punto. A ciò corrisponde anche l'osservazione, che se alla fine una grande, conturbante angoscia ci vien tolta dal petto mediante un esito felice, tosto subentra un'altra al suo posto, la cui materia già c'era tutta, ma non poteva entrar come angoscia nella conscienza, perché questa non aveva capacità disponibile per lei, sì che quella materia d'angoscia rimaneva appena come oscura, inosservata parvenza nebbiosa all'estremo limite del suo orizzonte. Ma tosto che lo spazio è libero, ecco questa materia pronta farsi subito innanzi, e occupare il trono della dominante (????????????) angoscia del momento: pur se, nella sua sostanza, è molto più leggera che la materia di quell'angoscia svanita; nondimeno sa tanto gonfiarsi, da farlesi eguale in apparente grandezza, e in tal modo, come precipua angoscia del momento, rimpie appieno il trono.
      Smisurata gioia e molto vivo dolore si ritrovano sempre soltanto nella stessa persona: imperocché l'una è condizione dell'altro, ed entrambi poi han per condizione una vivacità grande dello spirito.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368