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      Da ciò apparisce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo. È vero bensì che nella vita umana, come in ogni cattiva mercanzia, il lato esterno è mascherato con falso splendore: sempre si cela ciò che soffre; mentre quanto può ciascuno procacciarsi di pompa e di lustro porta in evidenza, e quanto più interna contentezza gli manca, tanto più desidera nell'opinione altrui passare per felice. A tanto giunge la stoltezza: e l'opinione altrui è una mira essenziale per le fatiche di tutti, sebbene la sua completa insignificanza sia già di per sé espressa dal fatto che in quasi tutte le lingue la parola vanità, vanitas, significa in origine il vuoto e il nulla. Ma anche sotto codesto orpello possono gli affanni della vita crescere in tal modo (e ciò accade tutti i giorni), che la morte, d'ordinario temuta soprattutto, viene ghermita con avidità. O addirittura, se il destino vuol mostrare tutta la sua malizia, anche quel rifugio può esser chiuso a chi soffre; e questi, nelle mani di nemici infelloniti, rimanere esposto a lunghi, lenti martiri senza scampo. Invano il tormentato chiede allora aiuto a' suoi Dei: rimane implacabilmente in preda al suo destino. Ma codesta impossibilità di scampo è appunto lo specchio dell'indomabilità del suo volere, di cui è oggettità la sua persona. Come non può una forza esterna mutare o sopprimere questo volere, così non può alcuna forza estranea liberarlo dai tormenti, che produce la vita, la quale è fenomeno di quel volere. Sempre l'uomo è ridotto a contar su se stesso, e in ogni cosa e nella sostanza delle cose.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368