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      Sovente, all'opposto, la volontà s'infiamma ad un grado, che di gran lunga trascende l'affermazione del corpo: grado che poi vivaci slanci e poderose passioni rivelano, nelle quali l'individuo non pure afferma il suo proprio essere, ma quel degli altri nega, e cerca di sopprimere, dove gl'intralcia la via.
      La conservazione del corpo mediante le sue stesse forze è un così minimo grado dell'affermazione della volontà, che se ci si fermasse volontariamente a questo, noi potremmo ritener cessata, con la morte del corpo, anche la volontà che in esso si manifestava. Ma già la soddisfazione dell'istinto sessuale va oltre l'affermazione della nostra esistenza, la quale empie un sì breve spazio di tempo, e afferma la vita oltre la morte individuale, per un tempo indefinito. La natura, sempre vera e conseguente, e in questo punto addirittura ingenua, ci disvela apertamente l'intimo significato dell'atto generativo. La nostra conscienza, la vivacità dell'istinto, c'insegna che in codesto atto s'esprime la più risoluta affermazione della volontà di vivere, pura e senza ulteriore aggiunta (come per avventura sarebbe la negazione d'altri individui); e così nel tempo e nella serie causale, ossia nella natura, appare quale effetto dell'atto una nuova vita: di contro al generatore viene a porsi il generato, diverso da quello nel fenomeno, ma in sé, nell'idea, identico ad esso. È quindi per codesto atto, che le generazioni dei viventi si collegano l'una con l'altra in un tutto, e si perpetuano.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368