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      La generazione è, per ciò che tocca il generante, semplice espressione e simbolo della sua risoluta affermazione della volontà di vivere; per ciò che tocca invece il generato, essa non è punto la cagione della volontà che in lui si manifesta, non conoscendo la volontà in sé né vera causa sostanziale, né effetto; bensì è, come ogni causa, soltanto l'occasione pel manifestarsi di codesta volontà in un dato tempo e in un dato luogo. In quanto cosa in sé, non è la volontà del generante diversa da quella del generato: che unicamente il fenomeno, e non la cosa in sé, è soggetto al principio individuationis. Con quell'affermazione che va oltre il nostro corpo, fino alla produzione fenomenica di un corpo nuovo, sono anche dolore e morte, in quanto appartenenti al fenomeno della vita, novellamente affermati; e la possibilità della redenzione, che può venir da una più perfetta capacità di conoscere, è in tal caso proclamata infeconda. Qui sta la profonda ragione della vergogna onde si cela il traffico generativo. Questo concetto è rappresentato miticamente nel dogma della dottrina cristiana, secondo il quale noi tutti siamo partecipi del peccato di Adamo (che evidentemente non era se non la soddisfazione della voglia sessuale), e per esso andiamo soggetti a soffrire e morire. Con ciò quella dottrina va oltre il modo di vedere fondato sul principio di ragione, e penetra l'idea dell'uomo; l'unità della quale viene ricostituita dal suo frazionamento negl'innumerevoli individui, mediante il vincolo della generazione che tutti li riunisce.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Adamo