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      Poiché il terreno in cui stanno i motivi è la conoscenza, io posso arrivare a quel risultato solo falsando l'altrui conoscenza, e questa falsificazione è la menzogna. Essa tende ognora a influire sull'altrui volontà; e non sull'altrui conoscenza sola, in sé e in quanto tale, ma sulla conoscenza come mezzo, ossia in quanto determina la volontà. Imperocché il mio stesso mentire, procedendo dalla mia volontà, ha bisogno d'un motivo: ma tale può esser soltanto la volontà altrui, non l'altrui conoscenza in sé e per sé; poi che questa come tale non può aver mai un influsso sulla volontà mia, né, per conseguenza, muoverla, né essere un motivo dei suoi fini: bensì tale può essere unicamente l'altrui volere ed agire; e l'altrui conoscenza invece non è tale se non mediatamente. Ciò vale non solo per tutte le menzogne sgorgate da un palese vantaggio personale, ma anche per quelle prodotte da pura malvagità, la quale voglia pascersi delle dolorose conseguenze d'un errore altrui da lei generato. Perfino la semplice fanfaronata mira, mediante l'aumento di stima che ne viene, o una più favorevole opinione da parte degli altri, ad esercitare un'influenza più o meno grande sul loro volere ed agire. Il rifiutarsi a dire una verità, ossia, in genere, a un'asserzione, in sé non costituisce un torto; mentre invece è tale ogni credito aggiunto a una menzogna. Chi allo smarrito viandante si rifiuta d'additar la buona via, non gli fa alcun torto; glielo fa quegli che lo mette sulla via falsa. Da quanto s'è detto risulta che ogni menzogna, al pari d'ogni violenza è, in quanto tale, torto; avendo in quanto tale per fine di allargare il dominio della mia volontà su altri individui, cioè di affermar la volontà mia negando la loro, proprio come fa la violenza.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368