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      Anche è consapevole, in pari tempo, che senza commettere ingiustizia potrebbe opporsi in tutti i modi a quella negazione, se non gliene mancasse la forza. Cotal valore puramente morale è l'unico, che diritto e ingiustizia abbiano per l'uomo come uomo (non come cittadino nello Stato); l'unico, quindi, che sussisterebbe anche nello stato di natura, senz'alcuna legge positiva; l'unico, che costituisce la base e il contenuto di tutto quanto s'è perciò chiamato diritto naturale, ma meglio si chiamerebbe diritto morale: estendendosi il suo valore non già al subire, alla realtà esterna, ma solo all'agire e alla consapevolezza del proprio volere individuale, che l'agire fa nascere nell'uomo; consapevolezza, che si chiama coscienza. La quale nello stato di natura non in tutti i casi può farsi valere anche al di fuori, sopra altri individui, ed impedire che violenza regni in luogo del diritto. Nello stato di natura dipende invero semplicemente da ciascuno, di non agire in nessun caso con ingiustizia, ma non già di non subire in nessun caso ingiustizia, poiché ciò dipende da quella forza esteriore che ci è toccata. Perciò sono i concetti di giusto e ingiusto bensì validi anche per lo stato di natura, e punto convenzionali; ma quivi valgono sol come concetti morali, per l'autoconscienza che ciascuno ha della propria volontà. Ovvero sono, sulla scala dei differentissimi gradi d'intensità, con cui la volontà di vivere s'afferma negli individui umani, un punto fermo, simile al punto di congelazione nel termometro: il punto, ove l'affermazione della volontà propria diventa negazione dell'altrui, ossia con l'agire ingiustamente indica il grado della sua vivacità congiunto col grado dell'irretimento della conoscenza nel principio individuationìs (il quale è la forma della conoscenza posta per intero al servigio della volontà). Chi voglia ora porre da canto la considerazione puramente morale degli atti umani, o negarla, e gli atti stessi guardar soltanto sotto il rispetto del loro effetto esteriore e del loro successo, potrà invero chiamar con Hobbes giustizia e ingiustizia convenzionali determinazioni, arbitrariamente assunte, e punto esistenti all'infuori della legge positiva; né mai potremmo noi fargli intendere per esteriore esperienza ciò che non all'esteriore esperienza s'appartiene.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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