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      Per fondare uno Stato perfetto, si deve incominciar dal creare esseri, cui Natura consenta di sacrificare il bene proprio al bene pubblico. Ma frattanto qualcosa già s'ottiene, dall'esservi una famiglia, il cui bene sia da quello del paese affatto inseparabile: sì che ella, almeno nelle cose essenziali, non possa mai vantaggiar l'uno senza l'altro. Qui sta la forza e il pregio della monarchia ereditaria.
      Se la morale mira esclusivamente all'azione giusta o ingiusta, e può, a quegli il quale sia per avventura risoluto di non fare atto ingiusto, stabilir nettamente i confini delle sue operazioni; la dottrina dello Stato, invece, la scienza della legislazione, mira soltanto all'ingiustizia patita, né mai si occuperebbe dell'ingiustizia commessa, se non fosse per l'ognor necessario correlato di questa, ossia la patita: la quale è l'oggetto della sua attenzione, quasi il nemico contro cui ella si affatica. Ove si potesse concepire un atto ingiusto, col quale non fosse d'altra parte congiunta un'ingiustizia sofferta, lo Stato conseguentemente non lo punirebbe in nessun modo. Inoltre, poiché nella morale è oggetto di considerazione ed unica realtà l'animo, l'intenzione, per essa la volontà risoluta di commettere ingiustizia, quando pur sia arrestata e resa impotente da una forza estranea, equivale in tutto all'ingiustizia effettivamente commessa; e la morale condanna nel suo tribunale, come ingiusto, chi quell'intenzione aveva. Viceversa lo Stato non toccano animo e intendimento, sol come tali, né punto né poco; bensì solamente l'atto (sia esso poi tentato o compiuto), in ragione del suo correlato, del patire, che ne viene dall'altra parte: per lo Stato è una realtà l'azione, il fatto accaduto; l'intendimento, il volere non s'indaga se non in quanto da esso vien reso manifesto il significato dell'atto.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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