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      Ogni imposizione di dolore fatta, senza mirare al futuro, per un'ingiustizia commessa, è vendetta, e non può avere altro fine, se non confortare se stesso del male sofferto, mediante la vista di un male altrui, da noi cagionato. Ciò costituisce cattiveria e crudeltà, né si può eticamente giustificare. L'ingiustizia, che altri compie verso me, non mi dà minimamente il diritto di commettere ingiustizia a suo riguardo. Pagar male con male, senz'altra mira, non è cosa da giustificarsi moralmente né in altro modo in virtù di qualsivoglia principio ragionevole; ed il jus talionis, eretto a principio indipendente ed a finalità ultima del diritto penale, è vuoto di senso. Perciò è in tutto priva di base e assurda la teoria di Kant intorno alla pena, concepita qual semplice compensazione per la compensazione. E nondimeno la viene ancor fuori negli scritti di molti giuristi, in mezzo a ogni maniera di frasi pompose, che si riducono a una vuota filastrocca, come ad esempio: venire il delitto per mezzo della pena espiato, neutralizzato, cancellato, e così via. Ma nessun uomo ha la facoltà di stabilirsi giudice e compensatore in senso puramente morale, ed i misfatti di un altro punire con dolori da sé causati, ed a quegli imporre così espiazione per ciò che ha fatto. Questa sarebbe arrogantissima presunzione; onde il detto biblico: «Mia è la vendetta, esclama il Signore, e voglio io compensare». Ha bensì l'uomo il diritto di provvedere alla sicurezza della società; ma ciò può accadere solo mediante interdizione di tutti quegli atti che indica la parola «criminale», per impedirli col mezzo dei contromotivi, che sono le minacciate pene; la qual minaccia può avere efficacia sol con l'esecuzione, quando il caso sia, malgrado l'interdizione, avvenuto.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Kant