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      Un carattere molto più sorprendente, ma anche molto più raro nell'umana natura, esprime quell'aspirazione a trarre l'eterna giustizia nel dominio dell'esperienza, ossia dell'individuazione; e in pari tempo è indice d'una consapevolezza sentita, ma non ancora limpida, del fatto che, come ho detto più sopra, la volontà di vivere recita a proprie spese la grande tragedia e commedia, e che la medesima ed unica volontà vive in tutti i fenomeni. Tale carattere è il seguente. Vediamo talvolta un uomo per una grande iniquità subita, o di cui forse è stato semplice testimone, infuriarsi a tal segno, che impegna la sua propria vita, consapevolmente e senza possibile salvezza, per prendere vendetta di chi quell'iniquità ha commessa. Lo vediamo per esempio ricercare durante anni un potente oppressore, ucciderlo alfine e quindi morire egli medesimo sul patibolo, come aveva preveduto, e che anzi spesso non aveva punto cercato d'evitare; avendo la sua vita conservato valore per lui soltanto come mezzo per la vendetta. Specialmente fra gli spagnoli si trovano questi esempi54. Se noi adunque osserviamo attentamente lo spirito di quella sete di compensazione, la troviamo assai differente dalla vendetta comune, che vuole mitigare il male sofferto mediante la vista del male provocato. Troviamo, anzi, che il suo scopo merita d'esser chiamato non tanto vendetta quanto punizione: poi che in lei si ritrova propriamente l'intento di un'azione sul futuro, mediante l'esempio, e senza alcun fine di proprio vantaggio, né per l'individuo vendicatore, perché esso vi soccombe, né per una società, la quale foggia a sé con leggi la sicurezza; che essendo quella pena inflitta da un singolo, non dallo Stato, e neppure in esecuzione d'una legge, colpisce invece sempre un'azione, che lo Stato non voleva e non poteva punire, e di cui disapprova la pena.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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