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      Chi abbia presente nella memoria quanto si contiene finora in questo quarto libro, e particolarmente la verità illustrata in principio, che alla volontà di vivere è assicurata ognora la vita stessa, qual semplice immagine e specchio di lei – quegli troverà che, conformemente alle considerazioni fatte, il rimorso non può avere altro significato se non questo che ora seguirà. Ossia, il suo contenuto, astrattamente espresso, è il seguente, nel quale si distinguono due parti, che nondimeno devono da ultimo essere riunite e pensate come affatto congiunte.
      Per quanto fitto sia il velo di Maja che avvolge l'animo del malvagio, ossia per quanto chiusa sia la prigionia di lui nel principio individuationis, in virtù del quale egli tiene la propria persona come distinta assolutamente, e da ogni altra separata mediante un ampio abisso, la qual cognizione, perché è la sola conforme al suo egoismo e ne forma il sostegno, egli tien ferma con tutta forza, essendo quasi sempre la cognizione corrotta dalla volontà, si agita tuttavia nell'intimo della sua coscienza l'occulta sensazione, che un siffatto ordine di cose sia nondimeno nient'altro che fenomeno; e che in sé la cosa sia tutt'altra. Dividano pur tempo e spazio lui medesimo da altri individui e dai tormenti inenarrabili ch'essi soffrono, anzi per cagion sua soffrono, e veda egli pur costoro come affatto stranieri a lui medesimo, tuttavia è l'unica volontà di vivere che in sé, prescindendo dalla rappresentazione e dalle sue forme, in essi tutti si palesa; ella è, che se stessa disconoscendo, contro sé volge le proprie armi; e mentre cerca con un dei propri fenomeni un maggiore benessere, perciò appunto infligge a un altro il maggior dolore.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Maja