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      Se poi ora ci capita, come rara eccezione, un uomo, il quale per avventura possegga una considerevole rendita, ma di questa poco prenda per sé, e tutto il rimanente dia ai miseri, mentr'egli medesimo di molti godimenti e comodi si privi; e se noi cerchiamo di spiegarci la condotta di quest'uomo; troveremo, prescindendo affatto dai dogmi ond'egli vuol forse far comprensibile alla propria ragione il suo agire, essere questa la più semplice, generica espressione, e questo il carattere essenziale della sua condotta: che egli minor differenza pone, di quanto solitamente si faccia, tra sé e gli altri. Se per l'appunto codesta differenza, agli occhi di tanti altri, è sì grande, che altrui dolore è al malvagio diretta gioia, all'ingiusto è gradito mezzo per conseguire il benessere proprio; e se quegli ch'è semplicemente giusto si limita a non causar quel dolore; e se in genere la maggior parte degli uomini vede e conosce in sua prossimità innumerabili dolori altrui, ma non si risolve a mitigarli, perché dovrebbe a tal fine patire a sua volta qualche privazione; se adunque a ciascuno di cotali uomini sembra che un forte divario passi tra il proprio io e l'altrui; a quel generoso invece, che noi immaginammo, non pare quel divario sì considerevole. Il principium individuationis, la forma del fenomeno, non lo tiene più così stretto; invece il dolore, ch'ei vede in altri, lo tocca quasi come il suo proprio: egli cerca perciò di tener tra questo e quello l'equilibrio, si rifiuta godimenti, si assume privazioni, per attenuare i mali altrui.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368