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      Non è più l'alterno bene e male della sua persona, quel ch'egli ha in vista, com'è il caso degli uomini ancor prigionieri dell'egoismo; invece, scorgendo egli di là dal principio individuationis, tutto gli è ugualmente vicino. Conosce il tutto, ne comprende l'essenza, e la trova sempre involta in un continuo perire, in un vano aspirare, in intimo contrasto e in perenne dolore; vede, dovunque guardi, la sofferente umanità e la sofferente animalità, e un mondo evanescente. E tutto è a lui così vicino, com'è vicina all'egoista la sua propria persona. Ora, come potrebb'egli mai, con tal conoscenza del mondo, questa vita affermare con continui atti di volontà, e in siffatto modo sé ognora più strettamente alla vita avvincere, sempre più forte a sé stringerla? Se adunque colui il quale ancor prigioniero nel principio individuationis, nell'egoismo, soltanto singole cose conosce, e il rapporto di esse con la sua persona; e quelle diventan poi motivi sempre rinnovati del suo volere; viceversa quella cognizione del tutto, dell'essenza delle cose in sé, diventa un quietivo della volontà in genere e in particolare. La volontà si distoglie oramai dalla vita: ha orrore dei suoi piaceri, nei quali riconosce l'affermazione di quella. L'uomo perviene allo stato della volontaria rinunzia, della rassegnazione, della vera calma e della completa soppressione del volere. A noi, che ancora avvolge il velo di Maja, traluce a momenti, in mezzo a dolori nostri pesantemente sofferti o a dolori altrui vivacemente percepiti, la conoscenza della vanità e amarezza della vita, e allora con piena, definitivamente risoluta rinuncia vorremmo strappare al desiderio il suo pungolo, a ogni dolore sbarrare il cammino, purificarci e santificarci; ma tosto ci riafferra nelle sue maglie l'illusione del fenomeno, e di nuovo i suoi motivi mettono in moto la volontà: né perveniamo a districarcene.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Maja