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      Tanta concordanza, in tempi e popoli sì diversi, è una prova di fatto che quivi non si esprime, come volentieri afferma l'ottimistica insulsaggine, una stramberia e stoltezza dell'animo, bensì un lato essenziale dell'umana natura, il quale sol per la sua eccellenza di rado si manifesta. Oramai ho indicata la fonte, dalla quale si posson direttamente conoscere, attingendo alla vita stessa, i procedimenti in cui si palesa la negazione della volontà di vivere. In un certo modo è questo il punto più importante di tutto il nostro studio: nondimeno io l'ho esposto tenendomi sempre sulle generali, meglio essendo rimandare a quelli, i quali ne parlano per diretta esperienza, che non ingrossare senza bisogno questo libro con l'affievolita ripetizione di ciò ch'essi hanno detto.
      Ma poco altro voglio aggiungere per definire genericamente il loro stato. Vedemmo più indietro il malvagio, per vivacità del suo volere, soffrire perenne, divorante intimo affanno, e da ultimo, quando tutti gli oggetti del volere sono esauriti, placar la rabbiosa sete dell'egoismo con la vista della pena altrui; quegli viceversa, in cui s'è affermata la negazione della volontà di vivere, per quanto povero, scevro di gioia, di privazioni pieno sia il suo stato visto dal di fuori, è pieno d'intima gioia e di vera calma celeste. Non sono più l'irrequieto impulso vitale, l'esuberante gioia, che ha per condizione precedente o successiva un vivo dolore, quali costituiscono la vita di un uomo amante dell'esistenza; ma è invece un'incrollabile pace, una profonda quiete ed intima letizia, uno stato che noi, se ci vien posto davanti agli occhi o alla fantasia, non possiamo guardare senza altissimo desiderio, perché tosto lo riconosciamo come l'unico a noi conveniente, di gran lunga superiore a ogni altra cosa, e verso di esso il nostro spirito migliore ci spinge col grande sapere aude.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368