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      Con la parola ascesi, già spesso da me usata, io intendo, nel senso più stretto, il deliberato infrangimento della volontà, mediante l'astensione dal piacevole e la ricerca dello spiacevole, l'espiazione e la macerazione spontaneamente scelta, per la continuata mortificazione della volontà.
      Ora, se noi vediamo questa mortificazione praticata da chi già è giunto alla negazione della volontà, per mantenervisi, è poi il dolore in genere, quale ci viene inflitto dal destino, una seconda via (???????? ?????) per arrivare a quella negazione. Possiamo anzi ritenere, che i più solo da questa vi arrivano, e che è il dolore direttamente provato, non quello semplicemente conosciuto, a produrre la piena rassegnazione, spesso solamente in prossimità della morte. Che solo in pochi basta a ciò la semplice conoscenza, la quale, penetrando oltre il principium individuationis, produce dapprima la perfetta bontà dell'animo, e finalmente fa riconoscer come proprii tutti i mali del mondo, per dar luogo alla negazione della volontà. Anche in colui che a tale stato si avvicina, quasi sempre le condizioni tollerabili della sua persona, la lusinga dell'attimo, l'ingannevole richiamo della speranza e l'ognora offrentesi appagamento della volontà, ossia del piacere, sono un continuo ostacolo alla negazione della volontà stessa, e una continua tentazione di riaffermarla: perciò sotto tale riguardo tutte codeste tentazioni vennero personificate in diavoli. Il più delle volte deve quindi la volontà venire spezzata da un fortissimo dolore personale, prima che pervenga a negarsi.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368