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      Vediamo allora l'uomo, quando per tutti i gradi della crescente angoscia è giunto, resistendo con violenza, all'orlo della disperazione, improvvisamente tornare in sé, sé e il mondo conoscere, mutare tutto il proprio essere, elevarsi sopra sé stesso e sopra il dolore, e, come fosse da questo dolore purificato e santificato, in non attaccabile calma, in beatitudine e sublimità di spirito rinunziare a tutto quanto prima egli bramava con la massima violenza, e gioioso accogliere la morte. Questo è il corrusco metallo della negazione della volontà di vivere, ossia della redenzione, che all'improvviso balza fuori dalla fiamma purificatrice del dolore. Perfino coloro, che furono molto malvagi, vediamo talora purificati fino a questo grado dai più profondi dolori: sono diventati altre persone da quel che furono, e completamente trasformati. I misfatti prima commessi non angosciano quindi nemmen più la loro coscienza; tuttavia li espiano volentieri con la morte, e di buon animo vedono volgersi al termine il fenomeno di quella volontà, che ora è ad essi straniera ed oggetto d'orrore. Di questa negazione della volontà prodotta da grande sventura e nessuna speranza di salvezza, ci ha dato una limpida e intuitiva rappresentazione, tale ch'io non ne conosco pari nella poesia, il gran Goethe, nel suo immortale capolavoro, il Faust, nella storia del dolore di Margherita. Essa è un esempio perfetto della seconda via, la qual conduce alla negazione della volontà mediante un personale, terribile dolore da noi stessi provato; e non, come la prima, mediante la semplice cognizione del dolore di un mondo intero, che volontariamente si fa dolore proprio.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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