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      Ma una cognizione della natura del mondo, quale quella più sopra ricordata, può nondimeno allontanarsi nuovamente dall'uomo, quando cessi l'occasione che l'ha prodotta; ritorna allora la volontà di vivere, e con lei il carattere antecedente. Così vediamo l'impetuoso Benvenuto Cellini, una volta in prigione e altra volta ammalato di grave malattia, trasmutarsi nel modo suddetto; ma, scomparsi i mali, tornar nell'antico stato. In genere, poi, la negazione della volontà non è prodotta dal dolore con la stessa necessità con cui un effetto è prodotto dalla sua causa; la volontà resta libera. Anzi è proprio questo l'unico punto, in cui la sua libertà entri direttamente nel fenomeno; di qui la sorpresa così vivamente espressa dall'Asmus sulla «conversione trascendentale». Accanto a ogni dolore si può immaginare una volontà ad esso superiore in forza, e quindi incoercibile. Così Platone racconta nel Fedone di cotali, che fino all'istante del loro supplizio banchettano, bevono, godono Afrodite, fino alla morte affermando la vita, Shakespeare ci pone innanzi nel cardinale Beaufort64 la terribile fine di uno scellerato, che muore al colmo della disperazione, non potendo dolore alcuno né morte infrangere la sua volontà spinta fino alla malvagità più estrema.
      Quanto più vivace la volontà, quanto più stridente il fenomeno del suo contrasto, tanto è più forte il dolore. Un mondo, il quale fosse fenomeno di una volontà di vivere molto più vivace della presente, ci mostrerebbe dolore d'altrettanto più grande: sarebbe adunque un inferno.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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