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      Poiché ogni sofferenza, essendo una mortificazione e un richiamo alla rassegnazione, ha la possibilità d'essere una forza purificatrice, si spiega con questo che una grande sventura e profondi dolori già di per sé ispirino un certo rispetto. Ma del tutto degno di venerazione ci appare colui che soffre, sol quand'egli, guardando al corso della sua vita come a una catena di mali, o soffrendo per un grande, insanabile dolore, non s'indugi a mirar precisamente la concatenazione di circostanze, onde fu precipitata in doglia la sua vita, e non s'arresti a quel singolo grande dolore che l'ha colpito: che entro questi limiti la sua conoscenza seguirebbe ancora il suo principio di ragione e rimarrebbe attaccata al singolo fenomeno, egli vorrebbe ancor sempre la vita, purché in condizioni diverse dalle sue; ma invece, dico, degno di venerazione egli appare veracemente sol quando il suo sguardo s'è elevato dal particolare all'universale, quando egli il suo dolore personale considera come esempio del Tutto, e per lui, diventato ormai geniale sotto il rispetto etico, un caso val quanto mille; sì che il complesso della vita, visto come essenziale dolore, lo conduce alla rassegnazione. In questo senso è degna di venerazione nel Torquato Tasso di Goethe la Principessa, quando si effonde a narrar come sempre mesta e senza gioia fosse la vita sua e quella dei suoi, e ciò facendo guarda al dolore universale.
      Un carattere molto nobile ce lo immaginiamo sempre con una certa apparenza di muta tristezza; la quale è tutt'altro che un permanente cattivo umore per le contrarietà quotidiane (che questo non sarebbe un tratto nobile, e darebbe a temere malvagità d'animo); bensì è conscienza, nata da cognizione, della vanità di tutti i beni e del dolore d'ogni vita, non della propria soltanto.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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