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      Essendo per cammino nella bassa Calabria, poche miglia sopra la città di Reggio, nella via che conduce ad una terra, per nome Musorrima, mi si fe incontro alla veduta un monte ben considerabile di chiocciole e conche striate e simili altri gusci non per anche impietrati. Parvemi un gran fatto, e volli osservare i luoghi d'intorno e non vi riconobbi segnale alcuno di dette chiocciole. Non potea finire di guardarle e di cavarne; parendomi assai ch'elleno si siano potute conservare per tanto e sì grande spazio di tempo e massimamente lungi e rialzate dal livello del mare, per più di sei miglia di cammino nell'asprissimo di quelle montagne. Curioso dimandai a quei paesani del loro sentimento, i quali francamente risposero essere le dette conchiglie fin dal tempo del diluvio là trasportate dal mare. Compatij in me stesso quella semplice gente ed osservai sì fatta credulità, veggendo che alla buona e con ogni tranquillità d'animo attribuiva l'effetto di quelle cose, delle quali non sapeva il principio, ad una cagione che supera ogni ricordanza umana. Pur'alla fine m'avvidi che "Plus sapit vulgus, quia tantum, quantum opus est, sapit", di qualunque filosofo: onde si deve far molta stima delle determinazioni semplici e naturali, essendo il Vero faccenda cotanto facile a capirsi, che niente più. E se alle volte non apparisce tale, egli è senza dubbio difetto della nostra ostinazione, che lo rende difficile.
      Inquieto intanto di mente e maravigliato di quel che vidi, feci ritorno in Messina, e qui con l'occasione di passar l'ozio continuando a leggere qualche libro per interesse del mio genio privato, che tutto è posto nelle medaglie antiche, m'abbattei in un luogo di Strabone che finì d'incuriosirmi.


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La vana speculazione disingannata dal senso
di Agostino Scilla
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