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      Ritorniamo. L'addotto luogo di Strabone mi fe sovvenire che nella nostra Sicilia in moltissimi luoghi, e precisamente nelle colline di Messina, per lo più si cavano sassi dalle cave delle pietre che altro non sono che un conglutinamento di conchiglie e di rene fragate e straniere, con infiniti altri corpi similmente di mare.
      Credei il tutto veri gusci d'animali marini, ne fu concesso al mio discorso dubitarne: tanto più che Cardano, non mica un'huomo goffo, parlando delle conchiglie dopo di riferire un luogo di Pausania, è d'opinione che facilmente ciò possa accadere: "Nam conchilyorum testae, cum diuturnae sint inter lapides, ac sub terra, multis in locis lapidescunt, forma retentia, substantia vero mutata".(2) Averei però desiderato non tocco ma disputato il perché in alcuni luoghi si petrifichino, ed in altri no, i detti gusci; che in quanto alla possibilità di conglutinarsi in molti luoghi, ed anche insassirsi, la sperienza me ne fe certo, avendone sotto l'occhio una continua testimonianza. Ella è, che nel braccio del Porto di Messina verso di quelle parti che riguardano così il Levante, come anche il Gregale, manifestamente s'osserva che si cavano ruote da mulino e sono per certo un composto di varij sassolini variamente colorati, appunto come suol essere la rena del mare, della quale si compongono. Accade che il luogo istesso da cui s'è cavata qualche ruota, riempiuto di nuovo di sciolte pietruzze, torna tra poco spazio di tempo ad esporsi tutto ammassato, restando ben'abbracciata qualunque conchiglia o turbinetto che vi s'abbatté di mezzo.


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La vana speculazione disingannata dal senso
di Agostino Scilla
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