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      ” Onde io avevo fitto in mente queste parole, e cercavo libri, e studiavo, e credevo di trovarli davvero quei tesori Ma cava, fatica, suda, il mio tesoro è stato carboni Povero babbo mio, s’immaginava che io avrei potuto essere qualcosa in questo mondo, ed io ci feci l’asso.
      Dopo un paio d’anni che io stavo in collegio mi venne una grave malattia agli occhi, per la quale tornai a casa e stetti molti mesi al buio in una stanza. Credevo che sarei diventato cieco, e dicevo: “Sarò come Omero”: e queste parole trafiggevano i miei genitori che avevano fatto su di me tanti disegni, e spendevano tanti danari per risanarmi. Infine con un occhio mezzo perduto rientrai nel collegio, dove un prefetto si pensò di guarirmi con un nuovo rimedio, e, a suo credere, infallibile. Udite.
      Nel 1824 accadde un fatto degno di memoria. Fuori di un villaggio detto San Nicola, non lungi da Caserta, presso le mura di una cappelluccia caduta in rovine, una mano di fanciulli giocavano a le piastrelle. A un tratto esce dalle rovine una signora: i fanciulli selvatichi e impauriti fuggono: resta uno più ardito a nome Pascariello, che la riguarda: ella lo carezza, gli dice qualche parola, e va via. Pascariello corre da una zia monaca, e conta dell’apparizione della signora. “È la Madonna,” disse subito la monaca, e si mosse a chiamar le vicine, e gridare miracolo. Le comari accerchiano Pascariello, e lo dimandano: “Di’? come era bella? era vestita di bianco? aveva gli occhi lucenti come il sole? Ah, certamente quella Madonna che sta lì dentro ti ha parlato, e ti ha detto che noi ci siamo dimenticate di accendere la lampada nella cappelluccia”. Conducono Pascariello dal parroco, il quale lo interroga, e Pascariello risponde che una bella signora vestita di bianco e con gli occhi come il sole lo ha carezzato, e gli ha detto: “Di’ a zia monaca che si è dimenticata di accendere la lampada”. Gli altri fanciulli ripetevano anch’essi di aver veduto da lontano la bella signora vestita di bianco.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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