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      A mio padre scrivevo le più nuove e lunghe lettere, gli parlavo della caducità delle cose umane, delle false promesse del mondo, e ad ogni paio di versi un passo della Bibbia: infine una volta gli scrissi che sentivo la vocazione di farmi frate, e lo pregavo di mettermi in un monastero. Mio padre mi lasciò dire: io replicavo: infine mi rispose secco secco: “Va bene, studia per ora, e quando avrai diciotto anni ne riparleremo”. A queste parole io risposi con una lettera che cominciava “Jesus, Maria, Joseph” e finiva “Vostro figliuolo nella carne Luigi”. “No, padre mio, subito, subito, si tratta dell’anima, et periculum est in mora. È vocazione, Dominus vocavit, auscultabo. Io mi ritirerò dal mondo in un deserto, e farò penitenza dei peccati miei, e anche dei vostri, o padre mio”.
      Immaginate come si turbò mio padre a leggere che io volevo far penitenza anche dei peccati suoi! Corse al collegio, mi fece passare in un’altra camerata e dividere dal De Silva, e a me non disse altro se non: “Attendi ad essere uomo, e non scrivere sciocchezze”. Io credetti di essere un martire, e raddoppiai fervori e paternostri. Il De Silva ed io ci scrivevamo epistole che i compagni di scuola ci recavano. Egli spesso mi mandava epigrammi ed odi latine in onore di certi santi che io non so donde li cavava; ed io che non era sì forte nei versi latini, per non parere da meno, scrivevo oremus, e dei buoni, lunghi, sonanti, con infine l’omnia saecula saeculorum, e li raccolsi tutti in un libretto che doveva essere un volume delle Opera omnia.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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