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      Esso in tutti i popoli vecchi come siamo noi comincia dalla memoria del passato, e si manifesta prima nelle opere d’ingegno degli uomini colti, poi nei fatti delle moltitudini. E le prime manifestazioni di questo sentimento sono come talli che spuntano sul vecchio tronco, ed hanno di necessità una forma antica che fa certa discordanza col nuovo; quindi nasce un contrasto che dura fintanto che il nuovo non assorbisce il vecchio, ritenendone le parti vere e necessario e ributtandone le false ed inutili. Questo sentimento era dentro a tutti i pensieri e a le opere degl’italiani, i quali nelle arti e nella lingua da prima, poi nelle scienze e nella politica ristoravano l’antico e il proprio, e rifiutavano ogni elemento forestiero. Necessariamente ci fu esagerazione, e quindi ci fu contrasto. Le dispute letterarie e linguistiche, le discussioni filosofiche e politiche, le sette, le cospirazioni e i tentativi di rivoluzione erano manifestazioni indeterminate di quel sentimento nazionale, che dopo molti sforzi trovò la sua forma in cui ora si spiega interamente. Gl’Italiani unirono prima le menti nei congressi scientifici, poi le armi nella prima e sventurata guerra nazionale.
      Questo sentimento in Napoli si manifestava più particolarmente per quattro vie, che parevano diverse, e pure menavano a lo stesso fine. Si manifestava nella lingua, che Basilio Puoti a capo della sua scuola diceva dover essere schiettamente italiana ed antica; nella filosofia, che Pasquale Galluppi rivendicava all’Italia ormai stucca delle basse ciarlatanerie francesi; nelle frequenti cospirazioni dirette da Carlo Poerio, le quali miravano tutte a rifare l’Italia libera ed indipendente dallo straniero e nelle opere dello stesso re Ferdinando, il quale non voleva armi tedesche né consigli di Francia, favoriva le arti nel regno per non aver bisogno dell’Inghilterra, e volle piuttosto non avere ferrovie che averle fatte con capitali forestieri.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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