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      Lodai moltissimo il libro all’amico, il quale poi che m’ebbe fatto parlare lungamente, ed ebbe discusso meco vari punti, infine mi disse: “Ebbene, questo libro l’ho scritto io”. “Tu? oh non è questa la giovane Italia fondata da Giuseppe Mazzini?” “No: io le ho dato quel nome già conosciuto, perché se gliene avessi dato un altro, o detto la fondavo io, chi l’avrebbe accettata? Lo scopo, i principi, i mezzi da adoperare sono gli stessi: pur che venga il bene, la gloria sia pur d’altri, non m’importa. Tienimi adunque il segreto che affido a te primo e solo, e aiutami a propagare questa grande opera”. Lo abbracciai, e gli promisi di mettermi seco all’impresa.
      Rimasto solo feci tra me e me parecchie considerazioni. “Dunque non siamo che noi due! e noi due cominciare opera sì grande? e quali mezzi, quali amici abbiamo noi giovani e senza fama? E bisognerà pur dire delle bugie a chi mi domanderà se siamo in molti, e se il dittatore sta veramente in Roma, e chi può essere, e che scrive. Ma in tutte le cose del mondo un poco d’impostura ci vuole, ed è come il sale che da sapore se è poco, e rende amaro se è molto. L’è una cosa difficile, ma il più difficile e più bello. Non siamo uomini anche noi? C’è più onore quando si comincia soli una grande impresa”. La vanità che pur si crede una cosa leggiera, ebbe più peso nelle mie bilance che la ragione: fui superbo di possedere un segreto, di partecipare a la istituzione d’una setta, e mi ci messi di gran volere. Cominciammo noi due a spargere la setta fra i giovani e gli amici cui ci potevam confidare; e quei volentieri l’accettavano perché a quella età si accetta ogni proposta che pare bella e generosa.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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