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      ’ Ubbidii tremante, ma non potei cantare. ‘Asseyez-vous, madame la duchesse,’ mi disse egli sorridendo con certa malizia e compiaciuto della mia confusione. Che birbone! era tiranno anche con le donne! Quell?’obéissez’ non glielo posso perdonare ancora”. Ella poi parlava de’ miei studi come se fossero stati anche suoi, aveva letti tutti i classici latini e greci tradotti in francese; e una volta volle che io leggessi Orazio in latino e lo traducessi in italiano: io le dicevo che cotesto non si poteva far bene, ed ella sorridendo rispondeva: “Obéissez, come potete”. Si ragionava un pezzo, poi io leggevo, ed ella o si mirava nello specchio o teneva gli occhi chiusi. E mentre io leggevo a un tratto ella mi domandava: “Dunque voi l’amate quella fanciulla?” “O assai, signora duchessa.” “Ed è bella?” “A me pare bella, ed è anche buona.” “Continuate.” Io continuavo a leggere ed ella chiudeva gli occhi. Vi so dire che né ella né io in quel punto pensavamo a quello che io leggevo.
      Venne il 18 agosto 1835, ed io mi presentai nell’università innanzi otto professori componenti la facoltà di letteratura e filosofia. Dei molti scritti al concorso non ci venne che un solo, il quale ne aveva fatto un altro e ottenuto il secondo luogo, e veniva a questo con un certa confidenza di ottenere la cattedra. Io temevo perché mi sentivo a un gran punto. Si aprirono i libri, e ci diedero le tesi: si aprì Omero, e avemmo a voltare in latino i primi dieci versi della seconda Iliade, e farvi su un comento filologico: si aprì Cicerone De Oratore, e avemmo a scrivere una dissertazione latina su l’azione oratoria; si aprì Orazio e avemmo a scrivere le lodi di Augusto in esametri latini ed in un’ode saffica italiana.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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