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      Così era Catanzaro quarant’anni fa, e da tre anni aveva la strada rotabile che la congiungeva a Tiriolo, ché prima aveva un sentiero per dirupi, dove a pena andavano i muli.
      L’arte che tutti i calabresi sanno benissimo, dal più ricco all’ultimo mendico, è quella di maneggiare il fucile. Non esce di casa un possidente per andare ai suoi fondi, o in paese vicino, o per divertirsi in campagna con la moglie e i figliuoletti, senza che egli sia armato sino ai denti, e accompagnato da servi armati detti guardiani, i quali guardano il padrone, la casa, i poderi, i bestiami; ed ogni proprietario ne ha quanti ne può avere, e li arma con permesso del governo. Il popolo vive miseramente, e in un’ignoranza che fa pietà: sono rozzi e fieri, ma non sono sciocchi: pochi esercitano un’arte o un mestiere, gli altri servono, o coltivano i campi o guardano gli armenti: per miseria rubano, e per natura impetuosa trascorrono ai delitti di sangue. Chi ammazza un uomo, si nasconde; se è cercato, si getta in campagna, dove per vivere deve rubare: un fatto tira l’altro, un’offesa cagiona un’altra: se egli è veduto con altre due persone armate, le autorità lo dichiarano fuorbandito o brigante, e mettono la sua testa a prezzo. Allora quell’uomo diventa un lupo, si disfà di tutti i suoi nemici, di tutti quelli dai quali si ricorda di aver avuto un torto. I fuorbanditi si uniscono in compagnia, taglieggiano i proprietari, ricattano uomini, fanciulle, donne, e non li rimandano se non hanno danari e robe: se il proprietario non manda loro ciò che gli chiedono, gli scannano il bestiame, gli bruciano il casino, e se colgono lui lo uccidono.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





Catanzaro Tiriolo