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      Poi che l’occhio s’era usato a quel buio vedevi muoversi uomini con strane facce, e strane vesti o seminudi; e udivi strani parlari. Verso le pareti erano alquanti letti o canili poggiati sopra scanni di legno: un gran numero di farti ravvolti, legati con funicelle, e gettati per terra la notte erano sciolti e distesi in mezzo al camerone, e vi dormivano in oscena nudità la state, fra cenci l’inverno, fra sozzure sempre. Nel lato sinistro di questo camerone si vedono sei chiarori, che vengono da sei stanze, in cui si entra per usci bassi e muniti di cancello di ferro affinché non manchi in tutto l’aria all’oscuro camerone. Nella quinta di queste stanze eravamo noi. Nel lato destro era la cappella; e si vedevano murati gli usci di antichi criminali, fra i quali più famoso era quello del Leone13.
      Seguiva il camerone detto di Porta Capuana, illuminato da finestre sporgenti sulla via, le quali sono aperte in un muro grosso un venti palmi, e però danno poca luce: pure a queste finestre si affollavano i prigionieri, come i pesci d’una peschiera corrono al buco per dove entra l’acqua pura. Se togli l’oscurità del primo camerone, qui è lo stesso fetore, le stesse sozzure, gli stessi letti, gli stessi farti per terra.
      Dopo un corridoio nel quale c’è una scala che scende giù agli approvati, e sono altre stanze: si entra nella infermeria, terzo e grande camerone luminoso. Solamente qui entra il sole da quattro finestre, le quali oltre i cancelli hanno anche una rete di fili di ferro, messavi nel 1821 quando qui furono ottanta militari della causa di Monteforte, de’ quali i soli Morelli e Silvati perdettero il capo sul patibolo, e gli altri tutti furono sepolti nell’ergastolo e nelle galere.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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