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      Domenico Romeo percosso in una gamba dal calcio d’un cavallo non poté seguire gli altri, e si ricoverò in un pagliaio col nipote Pietro figliuolo di Giovanni Andrea. Assalito dalle guardie urbane di Pedavoli, è ferito nel petto: Pietro con una palla colpisce il feritore, che rotolando viene a cadere ai piedi di Domenico; il quale lo calpesta, e dicendo: “Scellerati, che vi ho fatto?” gli cade sopra morto. Gli mozzano il capo, lo mettono in cima d’un palo, e dicono a Pietro; “Portalo tu, e grida ‘Viva il Re’.” Quel fiero giovine non si mosse né disse parola, ed ebbe percosse e strazi, e fu trascinato a Reggio. Dei fuggiti i soli fratelli Plutino si salvarono a Malta; gli altri o furono presi per brutti tradimenti o si presentarono spontanei.
      In Gerace furono capi del movimento cinque gentili e fiorenti giovani: Michele Bello di Siderno, Gaetano Ruffo di Bovalino, Domenico Salvatore di Bianco, Rocco Verducci di Caraffa, e Pietro Mazzoni di Roccella. Essi salvarono dall’ira del popolo che li voleva morti il sottointendente Antonio Buonafede ribaldo ed odiato, e il capo della gendarmeria, dicendo non doversi cominciare un’opera di virtù e di rigenerazione con effusione di sangue. Sapute le nuove di Reggio, si spersero anch’essi, vagarono per aspri monti, ma quattro furono presi e menati al Nunziante. Il Mazzoni perseguitato dal Buonafede, dagli sbirri, dalle guardie urbane, fuggì a Catanzaro, dove fu nascosto ed aiutato dall’amore di Eleonora De Riso, nobile fanciulla che egli aveva giurata sposa: ma persuaso dalle ingannevoli promesse del Nunziante, si presentò spontaneo, e dopo poche ore nel medesimo giorno 2 ottobre fu giudicato, condannato, e fucilato con gli altri quattro.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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