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      Andavo sempre guardingo, sapevo che i Borboni non perdonano ed io li aveva offesi, e temevo un pugnale o un veleno: non accettai alcun invito a pranzo, non scrissi mai in alcun giornale. Consideravo attentamente tutte le cose che mi si dicevano, osservavo bene quelle che mi cadevano sotto gli occhi, pensavo sempre, e dimandavo come erano avvenuti i fatti. Ogni volta che io udivo i monelli gridare per le vie, vendendo alcune carte stampate: “L’esilio di Del Carretto, la fuga di monsignor Cocle, la fuga di Campobasso e Morbillo, storie belle a leggere, un grano l’una!” io mi sentivo scuotere, e pensavo: “Questi uomini quindici giorni fa facevano tremare Napoli, ed ed oggi sono vituperati”. Quando il Re aveva le dolorose nuove dalla Sicilia, e sentiva crescere ogni giorno i bollori di Napoli, chiedeva consiglio a quelli che gli erano dattorno, e chi gli diceva usasse il cannone, chi facesse rizzare una forca in capo ad ogni via, chi la forza più irriterebbe il popolo, e doversi concedergli qualche cosa, chi guadagnare i principali e più accesi liberali, e tirarseli con danari, onori, ed anche uffizi: tutti furono di accordo a dire che la cagione di tutti i mali erano gli abusi della polizia, si parlò della pericolosa potenza di Del Carretto, del suo piegare verso i liberali, che tornava il carbonaro che era stato nel 1820, che il ministero di polizia si dovesse abolire, e non confidare più tanti poteri ad un uomo solo. La notte del 26 gennaio fu chiamato il Del Carretto come a consiglio nel palazzo reale; gli si fecero innanzi il ministro della guerra ed il generale Carlo Filangieri, e gli dissero che per comando del re doveva subito allora imbarcarsi su di un vapore che attendeva ed uscire dal regno.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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