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      Mentre si scriveva questo proclama, anzi prima di scriverlo, il nuovo ministero nello stesso giorno 16 maggio richiamava la spedizione capitanata da Guglielmo Pepe, scioglieva la Camera, disarmava la guardia nazionale. Queste erano le condizioni che il re imponeva ai nuovi ministri, ed essi le accettavano. Disarmar quella guardia nazionale si doveva; sciogliere la Camera non ancora costituita legalmente, era forse una necessità; ma richiamare le truppe dalla guerra fu un tradimento ribaldo, stolto, infame, vigliacco, e produsse disastri grandi all’Italia, ed altri dieci anni di servitù e di dolori. Il re volle quel richiamo: sì, ma voi altri principi, duchi ed avvocati ministri non dovevate volerlo voi, dovevate capire che quell’atto rovinava l’Italia, e non salvava Napoli. Re Ferdinando tradiva l’Italia credendo di salvare il suo regno: dodici anni dopo tutta Italia veniva sul regno e ne scacciava i Borboni. Tutte le colpe e le stoltezze umane hanno in sé stesse la cagione del castigo, che tosto o tardi viene immancabile.
      Con un editto del 24 maggio il re diceva ai suoi amatissimi popoli: “La nostra fermissima ed immutabile volontà è di mantenere la costituzione del 10 febbraio, preservandola da ogni eccesso. Sola compatibile con i veri bisogni di questa parte d’Italia, essa sarà l’arca santa che conserverà i diritti dei nostri amatissimi popoli e la nostra corona... Riprendete adunque le vostre abituali occupazioni, ed abbiate fede con tutta l’effusione del vostro cuore nella nostra lealtà, nella nostra religione, nel giuramento sacro spontaneo che noi abbiamo prestato.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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