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      Il mondo non sa, né vogliamo che sappia, tutte le nostre pene, e quanto ci costa la virtù. Ci hanno fatto ingoiare tutte le amarezze, ci hanno trafitti con tutte le punte del dolore, ci hanno tolto ogni cosa, ma non l'amor nostro: e l'amore ci sostiene e ci fa parer bella la stessa sventura. Io scrivo non per avere dal mondo una lode che non merito, o una pietà che m'irrita e m'offende; ma perché resti ai nostri figliuoli, come utile insegnamento, la memoria delle nostre sventure.
      Poveri figli, che trista eredità avranno da noi! Ma pure, o mia diletta, se essi impareranno da noi come si soffre, come si crede in Dio e si benedice anche nei dolori, come si perdona a chi stoltamente ci perseguita, non saranno scontenti di noi, e ci benediranno. I figliuoli altrui sieno fortunati, i nostri sieno buoni. Se la fortuna si farà men rea, e mi concederà di rigustare le dolcezze della pace domestica, oh di quante cose io ti parlerò, e tu e i figli mi parlerete nelle ore soavi della sera, nel santuario della famiglia! Forse allora rileggeremo i Tre giorni in cappella e l'Ergastolo di Santo Stefano che ora ti mando, ed allora ti dirò con quanta fatica, con quanti timori, fra quanti strazi io scrissi. Per ora leggi, e credi che l'anima mia è con te, e co' nostri figliuoli.
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      La causa dell'unità italiana, trattata per otto mesi innanzi la corte criminale di Napoli, non potrà essere dimenticata da chi scriverà la storia de' nostri tempi: e forse un giorno si saprà che vollero, che fecero, e che patirono alcuni uomini napoletani, e per quali vere cagioni e con quali arti furono condannati.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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